Moncalieri, 5 dicembre 2016

L’amaro sapore della vittoria

Il referendum ha dato il suo risultato chiaro e netto e Renzi ne ha tratto la prima conseguenza: la presentazione delle proprie dimissioni. Ora si apre un periodo di incertezza politica, che l’esito del referendum ha solo anticipato.

Ma partiamo da lontano, dalle cause dell’attuale situazione politica. Pare che non molti si ricordino che il progetto di riforma della Costituzione è stato iniziato insieme da Renzi e da Berlusconi, sotto l’egida del presidente emerito Napolitano. Pare anche che nel PD non vogliano mai trarre lezione dalle passate vicende: ricordate l’analoga storia della bicamerale D’Alema – Berlusconi? Il cavaliere trova sempre un motivo per sottrarsi ad una situazione che gli permette di essere sulla scena all’inizio, ma che alla lunga potrebbe diventare molto imbarazzante nei confronti del suo elettorato. Molti commentatori avevano prospettato un’idea, con cui io concordo: B. aveva puntato sulla vittoria di misura del NO, in maniera da potersi presentare con una posizione di forza al confronto con un Renzi indebolito, ma non dimissionario. Insomma, il solito gioco per tentare di rientrare in corsa, in un momento di sua obiettiva debolezza. La vittoria schiacciante del NO, insieme alla larga partecipazione popolare alle votazioni, hanno costretto Renzi alle dimissioni. E così salta il piano di Berlusconi.

Anche Giorgia Meloni e Matteo Salvini gridano alla vittoria: ma che vittoria, la vittoria di Pirro? La possibilità di una coalizione fra queste due forze, e non si sa bene quale altre, di conquistare la maggioranza nel paese in caso di elezioni a breve temine è pressoché nulla, vista la frammentazione delle forze dell’ex-centrodestra. La coalizione accompagna la crisi del suo passato leader, Berlusconi, e non ha al momento spazi di risalita.

E il PD: beh, il PD è il partito messo peggio in questo momento: la sua sinistra ha ottenuto lo scopo di metterlo sull’orlo del precipizio. Come ne uscirà Renzi, nella sua funzione di segretario del partito? Se si dimetterà aprirà lo scenario del tanto peggio – tanto meglio, in quanto difficilmente il partito riuscirà a mettere insieme tutti i suoi cocci; Renzi potrebbe tentare la strada di un nuovo partito, ma l’operazione avrebbe un senso solo per la sua persona, non per il partito.

I 5* al momento sembrano i meglio piazzati, ma anche per loro i problemi non mancano: A prescindere dai problemi interni (caso Sicilia, caso Parma, caso Roma), che certo non sono piaciuti ad una parte del loro elettorato, continuano a dichiarare di non volersi sporcare le mani, cioè a non volere fare accordi con gli altri partiti presenti in Parlamento; ma un accordo dovranno pur farlo per andare a votare con una legge elettorale che consenta una governabilità del paese dopo nuove elezioni. Sarà interessante osservare come gestiranno questa vicenda, ma, in ogni caso, non mi sembra che si siano liberati dalla stretta morsa del duo Grillo-Casaleggio.

Questa del Referendum è stata una triste vicenda per i vincitori, i sostenitori del NO, anche per un motivo morale: si sono trovati spesso a condividere la stessa opposizione ai quesiti referendario, da posizioni molto diverse e spesso in profondo contrasto. Ho ancora presente il profondo senso di disagio personale quanto sentivo Salvini, piuttosto che la Meloni, piuttosto che Grillo, dichiarare le loro ragioni per il NO, ragioni spesso opposte alle mie. Ma il referendum avrebbe dovuto essere, ed è stato, un fatto trasversale ai partiti e alle idee politiche; per tutti, tranne che per Renzi….

Pietro Immordino

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