Moncalieri, 31 gennaio 2021

Democrazia e società

In occasione dell’attacco terroristico al Campidoglio di Washington avevo cominciato a scrivere un articolo su quel fatto, ma poi ho deciso di non pubblicarlo perché essenzialmente stavo mettendo giù degli argomenti trattati largamente dai media e perché il mio contributo personale riportava cose già dette in articoli passati, articoli di cui fornisco i link in appendice (* . In seguito avevo cominciato a scrivere qualcosa rispetto alla situazione politica italiana (Renzi), ma anche qui mi sono fermato, per le stesse ragioni riportate prima. Riguardando quegli articoli ho cominciato a fare delle riflessioni, tentando di approfondire i motivi che hanno condotto la società, e quindi anche la politica, alla situazione attuale.

Uno spunto alla riflessione mi è venuto da una trasmissione televisiva che parlava di una manifestazione religiosa in provincia di Caltanissetta, che mostrava le riprese fatte in quella ricorrenza 60 anni fa e quelle fatte nell’attualità. Emergeva chiaramente dalle riprese che 60 anni fa la popolazione partecipava all’evento come protagonista attiva, mentre attualmente la manifestazione è diventata una spettacolo, fornito da attori professionisti, del quale la popolazione locale è solo spettatrice. Ho cominciato a richiamare alla mente vari episodi del genere a cui ho partecipato/assistito in periodi antichi e recenti e ho dovuto confermare come la trasformazione della maggioranza degli individui da soggetti attivi a soggetti passivi nel corso del tempo è un fatto comune in tutti i luoghi e riguarda la quasi totalità dei nostri comportamenti.

Ricordo, ad esempio, che quando ci si riuniva insieme, tanti anni fa, c’era sempre nella compagnia qualcuno che suonava uno strumento, un altro che raccontava le barzellette, un terzo che organizzava giochi di società; questo capitava anche, e specialmente, nei luoghi di vacanza. Oggi la maggior parte di chi va in vacanza sceglie un villaggio turistico, con annessi animatori a cui viene demandato il compito di organizzare le attività sociali.

Potrei continuare con un sacco di esempi di manifestazioni ed attività in cui i partecipanti si sono trasformati da attori in spettatori, ma mi preme di più cercare di capire il perché del fenomeno. Credo che inizialmente un forte impulso al cambiamento sia stato fornito dalla diffusione del mezzo televisivo, che ha inchiodato, ed inchioda tuttora, una gran parte della popolazione davanti alla TV, distraendola dai contatti personali che una volta occupavano gran parte del tempo libero. Attraverso la TV la gente ha iniziato a giudicare le persone non per le loro capacità e per il loro background, ma per la loro apparenza fittizia e momentanea. Il giudizio degli spettatori è influenzato più dalla battuta estemporanea che dai contenuti veri dl dibattito. C’è di più: i cosiddetti talk show si sono trasformati in arene di battaglie verbali, spesso portate in atto con notevole aggressività da parte dei partecipanti. I conduttori non tentano quasi mai di portare la discussione in un ambito pacato e con contenuti comprensibili per gli spettatori: fa più audience il maleducato di turno che interrompe, aggredisce verbalmente, impedisce la libera esposizione degli argomenti, che il personaggio che espone con calma e ragionevolezza le proprie argomentazioni.

La situazione è poi stata aggravata dalla diffusione dei social media; io non sottovaluto affatto i risvolti positivi di questi mezzi di comunicazione, che possono servire a mettere in contatto persone che non si sarebbero altrimenti mai conosciute o ritrovate; io stesso sono riuscito a riaprire un contatto con un mio compagno di giochi delle elementari! Tuttavia questi mezzi hanno diversi aspetti negativi non trascurabili; per prima cosa mi vorrei soffermare su un meccanismo che porta all’emersione dei peggiori istinti della popolazione.

Generalmente si pensa all’influsso che i social hanno sulla gente come un meccanismo a senso unico: chi frequenta un social guarda i suoi contenuti e ne viene influenzato. In realtà il meccanismo è più complesso e pericoloso. Al contrario del mezzo televisivo, che presenta dei contenuti pur sempre ridotti nella possibilità di scelta, i social consentono ad un individuo di ritrovare un argomento nella forma e nei contenuti da lui desiderati e questo ha varie implicazioni negative.

La prima è quella di far emergere la parte profonda della psiche degli individui, che definirei oscura. Mi spiego meglio, ogni individuo reca in sé stesso una parte nascosta che viene normalmente tenuta a freno dall’educazione, dalla parte razionale della nostra mente, dai tabù sociali; quando si va a cercare sui social e si ritrova qualcosa che tocca la parte nascosta del nostro pensiero, ci si sente legittimati a considerare lecito e normale quello che prima nascondevamo, a noi stessi e agli altri. Così portiamo allo scoperto ed in maniera accessibile a tutti quei pensieri che avremmo tenuti nascosti senza la legittimazione pubblica offertaci dai social. C’è di più e di peggio: ogni nostro accesso ai social è controllato e valutato così come ogni nostra opinione ivi espressa. I social diventano così un sistema perverso di manipolazione e di indirizzo dell’opinione pubblica; attraverso questo meccanismo gli individui pensano di essere soggetti attivi, mentre in realtà sono le vittime.

Aggiungo ancora un esempio citato in uno degli articoli richiamati prima: si è molto parlato de La Bestia di Salvini, il sistema di controllo dei media che utilizza 30 esperti informatici per ottenere consenso sui social. Pare che il meccanismo messo in piedi per Salvini sia una dei più efficienti al mondo; per capirne di più accedi a questo link. In sintesi il sistema è basato sulle opinioni/partecipazioni della gente in televisione, in rete e nel territorio (sondaggi). Questo da una parte permette a Salvini di controllare immediatamente ed eventualmente correggere gli effetti delle sue esternazioni e dall’altra di mettere a punto nuovi argomenti da offrire al pubblico. Tale meccanismo è la sintesi della degenerazione populistica: il politico non elabora piani utili al paese nel medio e lungo termine, ma percepisce la volontà attuale del popolo e gliela restituisce sotto forma di slogan semplici e superficiali; di questo ho già parlato più profondamente in Democrazia difficile citata in appendice.

Un altro fattore che ha portato allo scadere della società e della politica è stato il venir meno dell’accettazione da parte della gente del principio di autorità. Non mi riferisco solo all’autorità esercitata in base alla funzione o alla posizione sociale ricoperta, ma anche all’autorità che dovrebbe essere riconosciuta a chi per esperienza maturata e per conoscenza acquisita è divenuto esperto in qualche campo dello scibile umano. Chiunque oggi parla di qualsiasi cosa e spesso il parere di un completo ignorante viene accettato come e più di quello di un premio Nobel nel campo. Oggi c’è persino chi contesta l’utilità dei vaccini!

Un altro pensiero ho rivolto alla pratica scomparsa delle grandi correnti ideologiche che hanno caratterizzato il secolo scorso: comunismo e capitalismo. Qualche decennio fa quando ci si riuniva in compagnia era consueto che sorgesse una disputa fra opposti sostenitori di una delle sue ideologie; oggi questo non capita pressoché più, tuttalpiù si discute di questo o quel capo-partito, dei suoi interventi televisivi, delle sue proposte (magari fatte su Twitter o su Facebook) nelle rare volte in cui si parla di argomenti politici.

A questo punto mi è venuto in mente il pesce rosso: qualche tempo fa avevo visto una inchiesta televisiva sui ragazzi degli States che usano in continuazione gli smartphone, in cui si concludeva che quei giovani potevano prestare attenzione ad un singolo fatto per un tempo massimo di 10 secondi, praticamente eguale al tempo che un pesce rosso dedica ad un avvenimento che lo ha incuriosito. Al di là dei paradossi, è indubbio che la nostra società si indirizza verso un approccio veloce ed approssimativo verso tutti i fatti che non riguardano la nostra attività lavorativa o la nostra vita affettiva: chi oggi passa la mattinata di domenica a leggere il giornale, come gran parte della gente faceva nel secolo scorso? Un’occhiata ai messaggi sullo smartphone. a Facebook o Twitter o Instagram e via!

Ma perché questo? Noto una strana contraddizione nel comportamenti degli individui; il tempo dedicato formalmente all’attività lavorativa è diminuito nel corso degli anni, ma la vita di tutti è diventata molto più frenetica. Quando ho cominciato a lavorare, seconda metà degli anni sessanta del secolo scorso, la settimana lavorativa nelle fabbriche comprendeva il sabato mattina; a Torino, inoltre, molti degli operai che lavoravano nelle grandi fabbriche finito il loro turno di lavoro andavano a lavorare per qualche ora ancora in piccole ditte dell’indotto; all’inizio del fine settimana lunghe file di auto lasciavano la città per farvi ritorno alla domenica sera. Eppure la gente allora non era in affanno perenne e trovava il tempo per riunirsi la sera per una chiacchierata fra amici. Ora tutti sembrano perennemente impegnati in attività gravose, mentre dovrebbero avere molto più tempo libero a disposizione. E’ certamente vero, però, che il lavoro, formalmente diminuito nell’orario di svolgimento, in realtà impegna più tempo ed energia. Basta pensare al tempo ed all’energia nervosa che vengono consumati per gli spostamenti per andare e tornare dal lavoro; inoltre, specialmente a livello impiegatizio e dirigenziale, i lavoratori delle grandi aziende sono spesso sottoposti a viaggi anche lunghi e di grande durata; i trasferimenti da un luogo all’altro sono anch’essi una costante della vita lavorativa odierna. La problematica principale nel mondo del lavoro è l’assenza di sicurezza della stabilità del lavoro; ricordo quando un impiego in FIAT veniva ritenuto sicuro come e più di un impiego nella pubblica amministrazione: abbiamo tutti seguito le vicende di quell’azienda e dei suoi dipendenti.

A tutte queste circostanze si sono aggiunte le incertezze e le inquietudini causate prima dalla crisi economica del 2008 e poi dal Covid 19 (con conseguente crisi economica), sulle quali non mi voglio dilungare, vista la loro evidenza.

Per concludere, tutte le circostanze elencate prima hanno condotto la popolazione a ricercare leader che dessero una falsa sicurezza prospettando facili soluzioni di tutti i problemi, sia pure in maniera irrazionale e senza alcun fondamento logico. Lo slogan superficiale che colpisce alla pancia si è sostituito al ragionamento e la rissa alla discussione, l’attesa mediatica di massa all’azione dei singoli; riecheggiano, ma solo come monito astratto e lontano, le parole di J. F. Kennedy: “Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”.

In questo quadro le democrazie scivolano quasi inevitabilmente verso forme autocratiche, mentre i leader che vogliono ottenere il potere affermano di agire per rispettare il volere del popolo e per il bene della nazione, contrapposto al bene delle altre nazioni. Nonostante questa situazione non molto attraente però è emersa, sia pure dopo lo sconvolgente episodio dell’attacco al Campidoglio di Washington, il quadro di una nazione, gli Stati Uniti, che sta tentando di imboccare una via diversa. Auguri!

Pietro Immordino

*)

  1. Democrazia difficile - 14 marzo 2009

  2. I limiti della democrazia – 14 settembre 2013

  3. Democrazia e crisi – 19 aprile 2014

  4. Astensionismo e democrazia – 3 giugno 2015

  5. Fede nella democrazia – 12 luglio 2016

  6. Fine della democrazia – 13 settembre 2019





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