Moncalieri, 18 gennaio 2014

Charlie hebdo 1

Le recenti vicende francesi si prestano a molte riflessioni che, come tutte le riflessioni, vanno fatte a freddo, dopo avere un poco digerito la violenza, anche narrativa, dei fatti. In questo mio articolo voglio parlare solamente di due aspetti della questione, tralasciando tutte le altre problematiche, alcune delle quali mi riprometto di esaminare in seguito. I due argomenti di cui voglio trattare oggi sono: la capacità di uno stato di evitare con ragionevole certezza l'accadere di simili atrocità al suo interno e le conseguenze di queste azioni.

Veniamo al primo punto. Tralasciando l'analisi particolare di quanto è avvenuto in Francia sotto l'aspetto di connessioni e di complicità (che con ogni probabilità ci sono state), voglio ridurre il fatto alla sua essenzialità, quasi in maniera semplicistica. Quello che è avvenuto, ridotto alla sua fase esecutiva finale, è che tre esaltati, con forti motivazioni (e non sto ad esaminare la causa di queste motivazioni), hanno assaltato due obiettivi poco difesi ed hanno causato la morte di parecchie persone assolutamente inermi.

C'è modo di evitare che questo accada, siano gli autori del misfatto terroristi internazionali, terroristi interni, appartenenti ad organizzazioni criminali? La risposta che più spesso si da a questa domanda è che bisogna agire sull'intelligence (di questo, parlerò anche più avanti); certamente l'azione di intelligence è efficace se esercitata, su gruppi di notevole consistenza, con continuità e largo impiego di mezzi; ma fino ad un certo punto. Infatti l'azione di intelligence si effettua essenzialmente per due vie: gli infiltrati e i mezzi di intercettazione tecnologica. Gli infiltrati sono, però, scarsamente utilizzabili per controllare certe sacche della popolazione, compattate da origini, appartenenze familiari, dialetti, coesistenza prolungata in territori ristretti. Se si pensa, per chiarire, alla possibilità di infiltrare un clan malavitoso costituito da persone che si conoscono fin dalla loro nascita e che abitano tutti nello stesso quartiere, si comprende facilmente la difficoltà di azioni di infiltrazione all'interno di simili strutture. I mezzi tecnologici sono certamente efficaci, ma anche loro fino ad un certo punto, poiché richiedono di conoscere in anticipo il loro obiettivo, cioè di essere piazzati ed utilizzati su persone già identificate come pericolo potenziale. Allora, o si sottopone a sorveglianza un numero enorme di persone, o è difficile prevenire i comportamenti di tutti i possibili attentatori. Inoltre, c'è sempre la possibilità di azione di gruppi isolati, sui quali l'azione di intelligence è estremamente difficile. I gruppi possono nascere spontaneamente o essere creati ad hoc: la “compartimentazione”, pratica largamente in uso nei servizi di spionaggio, è ormai una tecnica largamente nota. L'unica difficoltà per un gruppo isolato potrebbe essere il procacciamento degli oggetti atti a causare morti e stragi; ma, a parte la facilità evidente di procurarsi le armi da parte della malavita, stragi di grande rilevanza possono essere eseguite anche con mezzi alla portata di tutti. Per non volere parlare di prodotti chimici vari, si pensi all'effetto di un grosso mezzo lanciato su una folla...

Attenzione, però; l'azione dell'intelligence e delle forze di polizia è indispensabile per mantenere il fenomeno in limiti accettabili. Quello che volevo affermare è che, purtroppo, ci sono sempre dei personaggi dall'ideologia deviata; che, ahi noi, non è possibile controllarli a pieno; che non bisogna cambiare i nostri stili di vita per qualche inevitabile attentato. Bisogna sempre riflettere, quando accadono fatti di estrema gravità,sul fatto che in ultima analisi lo scopo di tali azioni efferate è quello di cambiare le nostre abitudini e volontà: lasciarsi influenzare da questi atti significa fare il gioco di chi li ha commessi.

Veniamo ora al secondo punto di questo mio intervento: le conseguenze dell'attentato. Quando si verificano azioni sanguinose o, comunque, violente l'opinione pubblica si sente più insicura e, quindi,richiede un immediato aumento delle misure di sicurezza attraverso controlli più estesi ed incisivi. Bene, chi non vuole più sicurezza, ma... Ma bisogna anche riflettere sul fatto che i controlli riguardano tutti, e non solo i possibili o reali malfattori. Tutti quelli che hanno una certa età ricordano quanto era più semplice e comodo viaggiare in aereo prima che iniziasse la pratica dei dirottamenti. Certo i controlli sono necessari, ma abusarne significa provocare grandi disagi a tutti, per non parlare della privacy, gravemente compromessa da alcuni tipi di controllo. Est modus in rebus, dicevano i Romani, o, per dirla all'italiana, non bisogna buttare via il bambino con l'acqua sporca. La reazione va sempre commisurata al reale pericolo e, soprattutto, non deve fare il gioco di chi ha voluto innescarla.

L a sicurezza si aumenta anche attraverso un maggiore dispiego ed utilizzo di forze dell'ordine e di intelligence. Le forze dell'ordine per essere efficaci devono essere dotate di poteri di intervento, tanto più ampi sono i loro poteri, tanto più efficace è il loro intervento. Già, ma tanto più potere hanno i corpi armati dello Stato, tanto più essi possono incidere sulla vita dei cittadini; anche qui è una questione di bilanciare necessità contrastanti e non è bene che vengano assunte decisioni importanti sull'onda di una grande emozione. In quanto all'intelligence, di cui voglio richiamare il più consueto nome di “servizi segreti”, in altri miei scritti ho già detto che essi costituiscono un'anomalia necessaria delle democrazie. Nessuna democrazia ne può fare a meno, anche se la loro esistenza è contraddittoria con il concetto stesso di democrazia, concetto legato alla evidenza per il popolo dei fatti e delle azioni dello Stato. Quindi, anche qui, prudenza ed attenzione.

Non ho, volutamente, parlato della più forte reazione causata nella popolazione dall'attentato: la repulsione non solo verso gli attentatori, cosa giusta e nobile, ma anche verso chi in qualche modo viene identificato come loro simile: arabi, musulmani, o stranieri tout court. Volutamente, dicevo, perché il discorso mi porterebbe molto lontano: spero di poterlo affrontare in altro momento.

Giunto alla fine di questo mio intervento, mi rendo conto di essere stato assai sbrigativo anche nel trattare i due soli argomenti che ho affrontato, ma per farlo bene ci vorrebbe un trattato e non una nota.

Pietro Immordino

 

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