Moncalieri, 18 marzo 2016

Il partito della nazione

Stufo di ascoltare in continuazione discorsi senza alcun costrutto sui migranti, voglio fare qualche riflessione generale sulla situazione politica italiana.

Cominciamo sull’uomo al governo, Renzi, che ogni tanto fa cenno ad un allargamento del PD verso destra, allargamento che qualcuno ha chiamato “partito della nazione”. Se consideriamo questa idea solo con l’ottica degli ultimi anni scorsi, berlusconismo e anti-berlusconismo, essa può sembrare una soluzione nuova. Io, però, ho un’ottica di lunga gittata, data la mia età, e ricordo bene la situazione esistente durante la cosiddetta Prima Repubblica: il “partito della nazione” esisteva di fatto già allora ed era la Democrazia Cristiana. All’interno di quel partito coesistevano più valori, spesso contrastanti fra di loro, il cui unico collante,in definitiva, era quello di gestire il potere per evitare che del potere si impadronissero gli opposti estremismi. Naturalmente il potere attira gli ambiziosi come il miele le mosche, quindi all’interno della DC in realtà militavano anche estremisti, neppure tanto camuffati. Un grande elettore di un senatore D.C., indubbiamente di animo fascista, diceva sempre, quasi a sua discolpa, che il suddetto senatore gli dichiarava di militare nella D.C. per pura convenienza, ma che lui in realtà era di idee radicalmente fasciste.

Il Partito democratico è nato dalla fusione della Margherita e dei Democratici di Sinistra (DS), eredi alla lunga rispettivamente della D.C. e del P.C.I. ; in realtà le anime dei due partiti non si sono mai fuse completamente e la rapida e irresistibile ascesa di Matteo Renzi a danno degli eredi dei DS rivela che la componente Margherita ha avuto il sopravvento sulla componente DS. Oggi Bersani come D’Alema, e più ancora l’estrema ala sinistra, scalpitano insofferenti della situazione che si è venuta a creare e che tento di esaminare più in dettaglio.

La D.C., che per quasi 50 anni ha governato l’Italia. dal 1946 al 1994, in coalizione con altri partiti, riusciva a gestire saldamente il potere attraverso compromissioni spesso pesantissime: basti pensare all’appoggio dell’organizzazione mafiosa in Sicilia. Chiaramente, non è che la D.C. italiana fosse tutta in mano alla mafia, ma ne veniva certamente pesantemente condizionata. Renzi governa insieme al Nuovo Centro Destra di Alfano: la maggior parte degli attuali esponenti del CD non ha altra prospettiva elettorale oltre quella di confluire nel PD, a meno di un’improbabile rientro in una scassatissima Forza Italia. La compromissione più pesante è certamente quella con Denis Verdini, che di fatto assicura un appoggio “esterno” attraverso il quale Renzi riesce a far passare alcune sue proposte, che altrimenti resterebbero bloccate. Verdini è un pluri-inquisito e già condannato di recente in primo grado, ma è un rilevante appoggio per il governo in atto; anche il gruppo che fa capo a Verdini non ha altra prospettiva reale che appoggiare Renzi in una futura elezione, pur non potendo lo stesso Verdini ripresentarsi a causa della legge Severino.

Fin qui ho parlato soltanto dei gruppi che appoggiano di fatto l’attuale governo, ma la forza futura del PD renziano è certamente derivante dalla legge elettorale del 2015 che viene detta Italicum, ma che io definirei più correttamente Renzianum.

La stesura originale della legge elettorale di fatto eliminava totalmente i più grossi problemi che aveva incontrato la DC nel gestire il potere: la forte conflittualità interna (le correnti) e il condizionamento dei partiti minori. Ugo La Malfa, con un partitino che spesso non raggiungeva il 2% dei votanti, riusciva a mettere in crisi un governo dell’epoca, senza contare la rilevantissima vicenda Craxi. Il potere di veto dei partiti minori era tanto più alto quanto più alta era la conflittualità interna, che portava le varie correnti ad tentare alleanze in diverse direzioni. La prima stesura della legge prevedeva soglie così alte per i partiti minori da eliminarli di fatto (4,5% per i partiti in coalizione e 8% per i partiti non coalizzati); i candidati venivano scelti dalle segreterie dei partiti e quindi ad esse rispondevano. Renzi ha dovuto modificare la legge, sulla spinta dei partiti minori che rischiavano di non avere alcun futuro. Non sono più previste coalizioni e la soglia di sbarramento per le liste è stata abbassata al 3%; esiste per gli elettori la possibilità di esprimere 2 preferenze, ma i capilista nelle 100 circoscrizioni sono bloccati, ossia vi saranno 100 parlamentari di fatto scelti dalle segreterie dei partiti.

Bene, non voglio annoiare oltre chi mi legge con i dettagli della legge, che peraltro causerebbe un pasticciaccio istituzionale se non venisse approvata la legge costituzionale che abolisce il Senato nella sua forma attuale; ma voglio trarre una conclusione da questa mia nota: l’Italicum non è il tentativo di fare un balzo in avanti verso un’Italia nuova, ma un tentativo di gestire la effettiva situazione politica italiana a vantaggio di chi riesca a coagulare, così come faceva la DC della prima repubblica forze sociali e strati popolari molto differenti tra di loro, senza guardare per il sottile ad eventuali compromissioni non proprio adamantine. La messa in atto di questa filosofia politica è già, come accennato prima, attuale: i voti di Denis Verdini non olent.

E che Dio ce la mandi buona!

Pietro Immordino

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