Torino, gennaio 2015

DIALOGO E DEMOCRAZIA


L'importanza del dialogo tra singoli individui, tra gruppi all'interno di una società o tra i popoli e le loro culture non sarà mai ribadita a sufficienza. Il dialogo è sempre costruttivo: favorisce la comprensione e la solidarietà tra le persone, le arricchisce culturalmente, ne abbatte i pregiudizi, educa alla tolleranza ed è infine potente fattore di pace e di democrazia. La polemica invece è la continuazione del dialogo con altri mezzi, cioè, letteralmente, con la guerra verbale.

Il dialogo, soprattutto su temi controversi e delicati, non si improvvisa ma può essere condotto in maniera costruttiva solo se si seguono precise regole e se ci si impegna a rispettarle. Rincresce vedere quanta poca attenzione sia stata dedicata da sempre all'educazione al dialogo.

Il dialogo (Habermas e Otto Apel hanno scritto molto su questo tema) necessita certamente di regole.

Provo a stabilirne alcune che a mio parere possono essere utili.


- in un dialogo è indispensabile che ciascuno esponga le proprie convinzioni con onestà e che al tempo stesso presupponga che pure gli altri interlocutori siano in buona fede;

- le tesi sostenute da ciascun partecipante al dialogo devono essere argomentate, motivate e esposte in maniera da metterne in luce la plausibilità; non possono essere cioè semplicemente affermate;

- ciascun dialogante, anche se fermamente convinto delle proprie posizioni, deve supporre comunque di non possedere necessariamente tutte le informazioni sull'argomento trattato, deve supporre di poter aver commesso inavvertitamente errori logici o di aver dato delle valutazioni non ben ponderate su molti aspetti;

- non si possono rigettare le posizioni di un interlocutore solo ribadendo le proprie convinzioni e le argomentazioni che le supportano; si deve avere l'umiltà e la pazienza di cercare di capire le argomentazioni e le motivazioni che hanno portato il nostro interlocutore a sostenere tesi che non condividiamo o che ci sembrano addirittura assurde. Il presupposto che il nostro interlocutore sia in buona fede implica che dobbiamo scoprire dove ha eventualmente fatto il passo falso, di quale informazione eventualmente manchi, rimanendo inoltre sempre pronti ad accettare che potremmo essere stati invece noi ad essere male informati o ad aver commesso errori logici o di valutazione.


Queste regole sono normalmente rispettate nel dialogo tra scienziati (anche se non sempre, purtroppo, perché sovente sono in gioco interessi economici, carriere, finanziamenti per la ricerca, ecc.), mentre sono facilmente disattese nei dialoghi che toccano temi etici, religiosi o politici. Ma è proprio su questi temi che è importante saper discutere. E' su questi temi che facilmente assumiamo posizioni intransigenti, atteggiamenti rigidi e dogmatici e rimaniamo vittime di pregiudizi. E’ proprio in questi casi che il dialogo è più necessario, importante e costruttivo. Dialogo che comunque non necessariamente deve portare ad una posizione comune (anche se sempre auspicabile). Il dialogo infatti ha già raggiunto buona parte dei suoi obiettivi se ciascuno ha capito fino in fondo le ragioni dell'altro arrivando sinceramente a rispettarle.


Le minacce ad un dialogo costruttivo vengono da più parti. In un'educazione al dialogo è indispensabile conoscerle e saperle evitare. Provo di seguito ad individuarne alcune:


- la minaccia al dialogo più diffusa ed evidente viene dagli interessi privati (economici, di carriera, di immagine, ecc.); non che non sia legittimo avere degli interessi privati che influiscono sulle nostre scelte o sulle nostre convinzioni, ma il tacerli durante un confronto è scorretto e porta inevitabilmente a posizioni ambigue e in mala fede;

- l'uso della retorica nel sostenere le proprie idee è nella maggior parte dei casi sviante; quando si è a corto di reali motivazioni o argomenti è facile far leva sui sentimenti, sulle emozioni dell'interlocutore con discorsi ad effetto facendo largo uso proprio della retorica;

- l'uso delle metafore è molto delicato: può essere pericoloso e fuorviante e sovente viene usato con intenzioni manipolatorie. La metafora viene giustamente usata perché, avendo essa qualche punto in comune con l'argomento trattato, può chiarire il pensiero che viene proposto, ma troppo spesso la stessa metafora viene utilizzata (più o meno in buona fede) per suggerire in maniera surrettizia punti di contatto anche su altri aspetti del proprio pensiero per i quali invece la metafora è completamente fuori posto;

- non è opportuno psicologicamente identificarsi con le idee, i valori, le scelte o le posizioni che uno sottopone all'attenzione degli altri; se infatti mi identifico con una idea, ostentandola come una bandiera ed etichettandomi in funzione di essa, è inevitabile che ogni critica che viene fatta a tale idea viene automaticamente avvertita come una critica a me stesso. Si verifica una sorta di conflitto d'interesse: difendo una certa posizione perché in realtà, così facendo, difendo me stesso. Ma in questo caso addio dialogo!

- gravi minacce ad un costruttivo dialogo vengono dalla frequente presenza di "anticorpi" all'interno di molte correnti di pensiero. Mi spiego meglio con un esempio: le critiche alle idee portanti del comunismo bolscevico venivano rigettate nell’URSS a priori come opera di controrivoluzionari. Con tale accusa l'ideologia comunista contrastava ogni critica e ogni dialogo sul nascere, facendo uso del semplice anticorpo: "attenzione! sei di fronte ad un nemico! annientalo prima che ti danneggi!". Gli anticorpi sono purtroppo diffusissimi e favoriscono nei loro portatori (siano essi singoli individui o gruppi o movimenti) la patologia dell'autoinganno. Mi convinco infatti sempre più delle mie idee perché sono riuscito ad immunizzarle di fronte ai pericoli distruttivi delle argomentazioni critiche; più riesco a evitare un vero confronto e più ho l'illusione (autoinganno inconscio) che le mie idee siano nel giusto! Gli anticorpi più semplici sono del tipo sopra menzionato: "attenzione al nemico!", che può essere chiamato, a seconda dei casi, con l'appellativo di controrivoluzionario, di fascista, di comunista, di diavolo, ecc. Altri anticorpi sono purtroppo di tipo più complesso e sofisticato e più difficili da riconoscere come tali.

- sovente il dialogo si arena perché le idee sostenute hanno la loro logica e plausibilità all'interno di un paradigma più ampio di pensiero ma al di fuori di tale paradigma diventano invece piuttosto irragionevoli e incomprensibili (nella scienza si sa che le teorie scientifiche cambiano a piccoli passi all'interno di un certo paradigma scientifico per poi subire delle vere e proprie rivoluzioni - come insegna Khun - quando le contraddizioni all'interno del paradigma esistente diventano dirompenti e si impone una vera e propria rivoluzione nel paradigma scientifico di riferimento). I paradigmi sono presenti in molte altre sfere del pensiero umano: in quello etico ( ad esempio: sacralità della vita, qualità della vita), in quello politico (liberismo, socialismo, statalismo, ecc.), in quello filosofico (idealismo, empirismo, spiritualismo, materialismo, naturalismo, ecc.), in quello religioso, in quello psicologico, ecc.. Durante un dialogo i partecipanti devono capire se le divergenze dipendono dal semplice esame del singolo tema in questione o se invece hanno la loro origine in differenti paradigmi di riferimenti adottati ma non evidenziati espressamente; in questo secondo caso il dialogo può diventare sterile, a meno che non vengano discussi a un livello più generale i rispettivi paradigmi di riferimento.


Giuseppe Aschieri


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