Moncalieri, 03 marzo 2022

Le liti sull’energia



Indice

Le centrali termiche convenzionali

Le centrali nucleari

Le energie rinnovabili

Conclusioni


Premessa

In questi ultimi mesi mi sono parecchie volte seduto davanti al PC ed ho cominciato a scrivere qualcosa sulle attualità politiche e sociali; mi sono sempre fermato dopo qualche riga, perché ho avuto la sensazione di stare ricalcando le stesse idee espresse in altri mie scritti passati. Le circostanze erano diverse, ma le azioni dei politici e le reazioni della gente seguivano sempre gli schemi da me descritti molte volte.

Recentemente sono ritornati prepotentemente alla ribalta della cronaca due argomenti di cui mi sono occupato professionalmente parecchi decenni fa: il ponte sullo stretto di Messina e la questione energetica. Ascoltando o leggendo di questi due problemi ho avuto la sensazione che il tempo si fosse fermato all’epoca in cui mi occupavo di tali argomenti per lavoro, come se non ci fosse stato alcun avanzamento nelle conoscenze in materia e gli studi condotti per decenni non fossero tenuti per niente in considerazione.

In questo scritto parlerò solamente di argomenti correlati alla produzione di energia, riservandomi di parlare in futuro del ponte sullo stretto di Messina.

Le centrali termiche convenzionali

Tali centrali sono state largamente usate in passato ed hanno rappresentato, insieme con l’idroelettrico, la prima fonte di produzione di energia elettrica in Italia. Attualmente esse sono alimentate in massima parte a gas, anche se i recenti fatti relativi alla guerra in Ucraina hanno rimesso in discussione l’uso delle centrali a carbone. Dette centrali forniscono poco meno del 60% del fabbisogno elettrico nazionale.

Il difetto principale che viene addebitato a questi impianti è quello di inquinare l'atmosfera con l’emissione di gas nocivi: per le centrali a gas essenzialmente anidride carbonica e vapore d’acqua, ai quali si aggiunge nelle centrali a carbone l’emissione di ossidi di zolfo e polveri varie. In realtà i disturbi ambientali arrecati dall’uso di combustibili fossili sono molto più estesi e vanno dal momento della loro estrazione al momento del trasporto e immagazzinamento (ove necessario). Il problema più grande per l’Italia (e la guerra in Ucraina lo ha posto in risalto) è che i fornitori di combustibili fossili sono in massima parte all’estero e spesso danno poco affidamento: io e tutti quelli della mia età abbiamo bene in mente cosa successe nel 1973, in seguito alla guerra del Kippur; tutti oggi temiamo una interruzione dell’erogazione del gas dalla Russia in seguito alla guerra in Ucraina.

Le centrali nucleari

Oggi si ripropone lo scontro fra i sostenitori del nucleare e i sostenitori delle cosiddette energie alternative (solare termico, solare fotovoltaico, eolico, ecc.). Io per prima cosa vorrei tornare indietro nel tempo, alla seconda metà degli anni ‘70 del secolo scorso, quando ero membro del team “Energy saving” della FIAT, nato per dare corso ad una ristrutturazione degli stabilimenti produttivi sotto l’aspetto dei consumi energetici.

I costi delle forniture di elettricità e di carburanti erano irrilevanti rispetto agli altri costi di produzione fino alla crisi energetica del 1973; ma quella crisi cambiò drasticamente la situazione e tutti i produttori cominciarono a fare i conti con il problema. A livello nazionale iniziò un acceso dibattito sulle vie da seguire, soprattutto per produrre elettricità; ricordo alcune della affermazioni di allora, che non hanno trovato alcuna conferma nel tempo.

Nei giorni scorsi sentivo alla radio una signora che tirava fuori un vecchio argomento, molto usato negli anni ‘70 dai sostenitori del nucleare: o nucleare o “freddo e buio”. Un referendum ha bocciato in Italia la costruzione di centrali nucleare e “freddo e buio” non sono comparsi. Sul nucleare ho sentito molti politici parlare di centrali di nuova generazione, ma non ho mai capito di cosa parlassero; spero che lo capissero loro!

Praticamente tutti le centrali nucleari oggi in funzione appartengono alla seconda generazione, che ha diversi schemi di funzionamento; per citare i più noti: BWR, PWR, CANDU, AGR e i sovietici RBMK. Questi ultimi impianti sono stati senz’altro i più efficienti, ma anche i meno sicuri, come dimostra il disastro di Chernobil. Il disastro di Fukushima ha però riguardato una centrale BWR (ad acqua bollente) della General Electric, e questa è una delle tipologie più diffusa. I sostenitori del nucleare affermano che l’incidente è stato causato da una circostanza eccezionale ed imprevedibile, una spaventosa onda anomala. Non mi pare una buona tesi difensiva: in qualsiasi parte del mondo si possono verificare fenomeni anormali, che non sono prevedibili in fase di progettazione; ma questo riguarda qualunque manufatto umano e non le sole centrali nucleari. Il problema specifico delle centrali nucleari è costituito dal fatto che un incidente estremo (come la fusione del nocciolo) può portare a danni di gravità incommensurabili rispetto ad incidenti su altri manufatti. Altro punto non risolto delle centrali nucleari di seconda generazione è il trattamento delle scorie; i costi e la pericolosità di dovere mantenere in luogo sicuro e costantemente sorvegliato militarmente tale materiale per millenni pesano in maniera indiscutibile anche sull’economicità di simili impianti. A questo proposito, però, bisogna tenere presente un’argomentazione contraria: le centrali di seconda generazione erano state costruite per durare 40 anni; oggi, in seguito alla verifica della loro efficienza e sicurezza, la vita di alcune di esse è stata prolungata di 20 anni e per alcune si parla di un raddoppio della vita prevista.

Le centrali di terza generazione sono essenzialmente caratterizzate da sistemi di sicurezza di maggiore efficienza, con l’utilizzo di sistemipassivi, che cioè intervengono per interrompere il funzionamento della centrale senza alcuna azione da parte degli operatori. Vengono esposti anche molti altri vantaggi di questi reattori, relativi alla durata delle centrali, alle manutenzioni, alla standardizzazione delle procedure, ecc. Di questa tipologia esiste un esemplare funzionante in Giappone dal 1996; in Europa il tentativo finlandese di costruire una centrale di questo tipo, che doveva essere pronta per il 2009, ha incontrato un sacco di problemi e la sua costruzione è attualmente in bilico, poiché si sta anche esaminando la possibilità di trasformarlo in impianto di quarta generazione, con un allungamento dei tempi attualmente non ben definito. Faccio solo un’ultima osservazione su queste centrali: viene affermato che la loro sicurezza è di 20 volte maggiore rispetto agli impianti della generazione precedente, col che si ammette che un qualche rischio, anche se limitatissimo, in ogni caso sussiste per qualsiasi tipo di impianto. Questa è una cosa ovvia per ogni manufatto umano, ma sembra non essere compresa dai sostenitori estremi del nucleare. Comunque rimane irrisolto per queste centrali il problema delle scorie radioattive; gli impianti di terza generazione producono una quantità di scorie inferiore a quella delle generazioni precedenti, ma con una pericolosità maggiore. Il tipo EPR, che dovrebbe essere adottato dall’Italia, è definito di tipo 3+, ma non sfugge a questo problema ; inoltre alcune di queste ultime centrali hanno dato luogo a problemi di funzionamento, che ne hanno messo in dubbio la sicurezza.

Un accenno anche alle centrali veloci o autofertilizzanti: i reattori di questo tipo sono caratterizzati da un maggiore utilizzo del combustibile di centrale, da una maggiore sicurezza intrinseca, poiché utilizzano come moderatore un metallo (generalmente sodio), ma danno luogo ad operazioni di ritrattamento del combustibile più frequenti e producono anche un isotopo dell’uranio instabile, il che rende problematica la sicurezza nel trasporto e trattamento delle scorie.

Un breve accenno alle centrali di quarta generazione, che dovrebbero fornire una soluzione parziale al problema delle scorie ed essere più economiche: di fatto ad oggi non esistono e non si sa quando potranno diventare operative. Questo vale anche per le centrali a fusione, basate su un principio totalmente diverso rispetto a quelle a fissione e che promettono energia praticamente infinita e quasi assenza di scorie pericolose. A proposito di queste ultime centrali, a metà degli anni ‘70 del secolo scorso la loro entrata in funzione era prevista per il 2015, oggi è difficile stabilire quando e se sarà possibile veramente utilizzare questi avveniristici impianti.



Le energie rinnovabili

Le energia rinnovabili sono quelle che non sono praticamente soggette ad esaurimento: energia solare, eolica, geotermica, idroelettrica, da biomasse. La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in Italia può essere stimata attorno al 37% del totale della produzione elettrica globale.

Energia idroelettrica

Rappresenta il 40% della produzione totale da energie rinnovabile ed è stata la prima fonte di elettricità che ha permesso lo sviluppo dell’industria nel Nord-Italia. E’ certamente la forma più conveniente per produrre energia elettrica, ma le possibilità di aumentarne la produzione sono molto piccole, in quanto i siti che si prestano ad essere utilizzati a questo scopo sono ormai in Italia quasi completamente esauriti (almeno per le produzioni di grossa entità). Qualche cosa si può ancora ottenere da manutenzioni straordinarie o rifacimento di impianti esistenti. Queste centrali hanno caratteristiche positive superiori a tutti gli altri impianti di produzione di energia elettrica. La loro produzione può essere adattata alla richiesta in tempi brevissimi e possono anche fungere da accumulatore di energia per altri sistemi, ripompando in alto l’acqua che dopo essere stata utilizzata è stata immessa in un bacino sottostante la centrale.

Solare fotovoltaico

Negli anni ‘70 le più grandi speranze degli ambientalisti erano riposte in questa tecnologia; in quegli anni i costi delle celle fotovoltaiche erano molto alti e l’efficienza di conversione (rapporto fra la radiazione solare e l’energia prodotta) bassa, ma si nutriva una grande speranza nel miglioramento delle tecnologie. Alcune delle vie tentate non erano certamente molto ecologiche (ricordo le celle all’arseniuro di gallio proposte per migliorare l’efficienza), ma oggi la tecnologia di produzione si è concentrata sulle celle a base di silicio, mono o poli cristallino, e le caratteristiche sono molto migliorate. Il rendimento dichiarato negli ultimi modelli è attorno al 17% ed il costo si è abbassato parecchio, rendendo la produzione fotovoltaica competitiva con le altre fonti. Siamo però ben lontani dai costo delle celle di pochi centesimi di dollaro per metro quadro, che qualche appassionato preconizzava per il futuro prossimo a fine anni ‘70. Produrre energia elettrica con un sistema fotovoltaico comporta l’utilizzo di ampie superfici di suolo; occupare terreni agricoli a tale scopo non è il migliore dei sistemi, poiché si potrebbero molto più convenientemente utilizzare i tetti delle abitazioni e degli stabilimenti produttivi per questa esigenza. L’Italia è favorita rispetto alle altre nazioni europee per l’utilizzo di questa tecnologia poiché gode di forti soleggiamenti, specie nelle sue regioni meridionali. Il problema della produzione fotovoltaica è che non è possibile sincronizzare la sua produzione con gli utilizzi richiesti, per cui occorre o utilizzarla come fonte sussidiaria rispetto ad altre o prevedere degli accumuli.

Solare termico

In queste centrali i raggi del sole vengono concentrati in un punto fisso, per raggiungere temperature idonee per la produzione di elettricità. In Italia ne esiste solo una in funzione dal 2009 ed un’altra è prevista per il futuro, ambedue in Sicilia. Il potenziale di queste centrali è ritenuto notevole all’estero, in quanto ne sono presenti molti esemplari in tutto il mondo, soprattutto U.S.A., Africa e Sud America; la Cina prevede parecchie costruzioni nel prossimo futuro. Questa tipologia ha il vantaggio rispetto al fotovoltaico di potere accumulare energia sotto forma di calore, così da potere produrre elettricità nei periodi in cui manca l’irraggiamento solare.

Eolico

Questa fonte energetica è stata utilizzata dall’uomo da tempi antichissimi, ma l’avvento dei combustibili fossili l’ha relegata in secondo piano. Anche questa fonte alternativa presenta dei vantaggi per l’Italia, che ha molte zone in cui il vento risulta presente per lunghi periodi e con intensità sufficiente. Fa eccezione la pianura padana, in cui l’assenza di venti significativi copre la maggior parte dell’anno. L’energia eolica presenta gli stessi problemi di quella fotovoltaica; oltre il fatto che è praticamente assente, come si è detto, nella zone più industrializzata del paese, purtroppo non è possibile sincronizzare la sua produzione con gli utilizzi richiesti, per cui occorre o utilizzarla come fonte sussidiaria rispetto ad altre o prevedere degli accumuli. Esistono anche per questa fonte di produzione dell’energia ampie possibilità di espanderne la produzione sia lungo le coste che nella zone montane del paese. Le difficoltà di realizzazione per gli impianti di questo tipo provengono dal rifiuto di molti cittadini di accettare realizzazioni che compromettono il paesaggio e che creano rumore in prossimità delle pale eoliche. Alcuni ambientalisti parlano anche della pericolosità di queste installazioni per l’avifauna selvatica.

Energia geotermica

Quando si parla di geotermia non si può non ricordare gli impianti di Larderello in Toscana, storicamente i primi impianti al mondo a sfruttare questa energia. Su questa centrale vengono sollevati parecchi dubbi in merito al fatto che essa immette in atmosfera parecchi gas tossici. Le tecnologie odierne permetterebbero però di produrre energia da fonti geotermiche senza inquinare l’atmosfera. La produzione elettrica da geotermico è stimata intorno al 5% della produzione totale da energie rinnovabili.

In Italia i siti individuati in cui sarebbe possibile produrre energia da fonte geotermica sono: Toscana, dal Larderello fino alla caldera di Bolsena (Lazio settentrionale), con un’estensione in direzione NW nel Mar Ligure; Campi Flegrei in Campania; Tirreno meridionale, a ridosso dell’arco vulcanico delle Eolie; Canale di Sicilia, dal vulcano sottomarino di Empedocle fino a Lampedusa.

La crisi energetica post 1973 aveva dato un certo impulso allo sviluppo del geotermico, ma a partire dal 1990 lo sviluppo di questa tecnologia non ha ricevuto più incentivi, tanto che non è stata neppure citata fra le energie rinnovabili inserite nel piano FER1 per l’incentivo alla produzione di energie rinnovabili, di recente pubblicato.

L’energia geotermica trova anche applicazione per la produzione di calore per molti usi, come ben sa chiunque abbia fatto ricorso alle cure termali.

Biomasse

La percentuale del fabbisogno elettrico nazionale coperta con l’uso della biomasse dovrebbe aggirarsi attorno al 5% (non sono riuscito a trovare dati certi!). L’importanza dell’uso delle biomasse è, però, certo maggiore per la produzione di calore (stufe, caminetti, ecc.). A parte iniziative commerciali concentrate nel tempo, non ricordo che in Italia ci siano mai state iniziative sociali o da parte del governo per la promozione di questa fonte energetica, mentre recentemente c’è stato un richiamo per evitare l’uso di stufe e caminetti domestici in città, a causa del forte inquinamento che producono. Leggo che degli esperti del settore ritengono che vi sia una forte sottovalutazione della potenzialità energetica delle biomasse. Lo sviluppo dell’uso di tale fonte potrebbe portare ad un vasto rimboschimento di aree agricole attualmente dismesse; per contro necessita di forti investimenti di ricerca e sviluppo per riuscire a mettere in campo una serie di conoscenze e attuazioni simile a quelle sorte per l’uso del petrolio. Per parlare dei materiali derivanti dal taglio degli alberi, non si può, se si vuole ottenere un risultato economicamente valido, utilizzare il legno solo come combustibile, ma occorre potere ricavare dalle piante tutte le materie prime che possono essere utilizzate al posto di quelle ottenute chimicamente. Ad esempio, il distillato di legno è già utilizzato già da molto tempo e la sua produzione è incentivata in Giappone; anche in Italia esistono piccoli produttori di tale essenza.

Conclusioni

Ho iniziato a scrivere questa nota parecchie settimane fa, ben prima dell’attacco russo all’Ucraina, ma rileggendolo oggi noto che le considerazioni fatte allora sono valide in pieno anche dopo gli accadimenti attuali.

E’ rinato il partito del nucleare: facciamo subito tanti centrali atomiche e così ci tiriamo fuori dalla dipendenza dai produttori di combustibile. Bene, anche per il combustibile nucleare, pure se le quantità di questo sono molto minori delle quantità relative ai combustibili tradizionali, dipendiamo da forniture estere, in gran parte provenienti da paesi non molto affidabili; un solo dato: la produzione mondiale dell’uranio proviene per il 40% del totale dal Kazakistan. Inoltre, con riferimento al momento che stiamo vivendo, è assolutamente inappropriato vedere la realizzazione di centrali nucleari come un mezzo per risolvere una crisi energetica momentanea, in quanto la costruzione di simili opere comporta tempi lunghissimi, non compatibili con le esigenze nel breve-medio termine. Ben altro è discutere dello sviluppo di una tecnologia promettente in campo energetico e finanziare i progetti di sviluppo più interessanti; ma questa è un’operazione a cui deve necessariamente partecipare tutta l’Europa tutta e non solo l’Italia.

Tutti coloro che si sono opposti ai rigassificatori del metano o a nuovi gasdotti (TAP) si trovano ora spiazzati davanti all’evidenza che se avessimo diversificato in passato le fonti di approvvigionamento ci troveremmo oggi in condizioni molto più vantaggiose; in prospettiva può essere utile diminuire o annullare del tutto l’uso del metano, ma nel breve-medio termine non ne potremo certo fare a meno.

Nel campo delle rinnovabili, l’idroelettrico non ha più molti spazi di espansione, ma rimane indispensabile per la copertura dei momenti di punta; questa funzione potrebbe essere incrementata creando od ampliando i bacini a valle degli impianti.

I due più grandi produttori di impianti eolici sono europei, seguiti da una ditta cinese ed una americana. Quindi l’approvvigionamento di tali apparecchiature può essere fatto da più parti, anche affidabili.

Anche per gli impianti fotovoltaici ci sono diversi assemblatori in Europa, ma per quanto riguarda le celle (i cosiddetti wafer) la produzione è pressoché totalmente in mano a ditte cinesi.

Nel campo del solare termico l’Italia possiede una buona conoscenza tecnica, così pure come nel campo dell’energia geotermica; ma non pare che siano previsti grandi sviluppi di questi impianti.

Fatte queste premesse essenziali, è persino superfluo dire che le scelte in campo energetico sono anche, e direi principalmente, scelte politiche oltre che tecniche-economiche. Ogni scelta in questo campo non può che tenere in massima considerazione l’ambito politico, nazionale ed internazionale, attuale e prevedibile per il futuro.

Per venire però ad ipotesi concrete, ci sono due vie da seguire: quella di far fronte al momento di emergenza attuale e quella di fare piani energetici per il medio e lungo termine. I due percorsi debbono procedere di pari passo: è necessario risolvere con urgenza e capacità la crisi attuale, ma allo stesso tempo va avviato un percorso che ci garantisca le condizioni migliori per il futuro.

Per quanto riguarda l’emergenza, mi pare che si stia mettendo in atto una strategia necessariamente complessa, che comprende la ricerca di forniture di gas da più parti (con la forte limitazione dovuta al fatto che in Italia ci sono soltanto tre rigassificatori in funzione e due con progetto approvato); il gasdotto TAP è entrato in funzione di recente, al servizio dell’Europa e non della sola Italia trasporta gas proveniente dall’Azerbaigian; questo paese si trova in una zona non certo tranquilla (il Caucaso) e non so quanto possa essere affidabile nel lungo termine. Infine, si può più che raddoppiare l’attuale produzione domestica.

Riutilizzare centrali a carbone dismesse certo recherebbe un notevole apporto alla produzione elettrica; due di queste sono già state riattivate alla fine del 2021, ma già ci sono state manifestazioni di protesta per la ventilata riapertura di una parte di queste centrali.

Certo è difficile e complesso affrontare la situazione momentanea attuale, ma quello che temo di più è la visione a medio-lungo termine dei problemi energetici. Data la forte instabilità politica dell’Italia ci potranno essere cambiamenti continui nella progettazione del futuro energetico italiano, con il triste probabile risultato che tutti i progetti man mano realizzati saranno poi interrotti o depotenziati e ci ritroveremo in una situazione sempre peggiore.

Per fare un esempio parlerò dell’energia nucleare, il cui sviluppo è stato completamente bloccato in seguito al referendum. Oggi, come scrivevo prima, c’è chi vuole cominciare a costruire centrali nucleari, senza che in Italia ci sia un sufficiente know-how in merito, visto l’abbandono del settore già da molti anni. Nessuno invece parla di aumentare gli sforzi (finanziamenti) per esplorare i campi più promettenti del settore (quarta generazione e fusione).

Ascoltavo qualche giorno fa Prodi che affermava che la mancanza di visione nel lungo termine della classe politica è un grande problema italiano. I nostri politici, in grande maggioranza, inseguono le emozioni popolari del momento e non pensano minimamente ad elaborare linee programmatiche per il futuro, accettabili dai cittadini; e questo, purtroppo, non riguarda i soli problemi energetici. Già: è molto più facile, e produttivo in termini di consensi mediatici immediati, dar ragione a chi protesta invece di sforzarsi per trovare soluzioni veramente utili per il paese, magari suscitando qualche temporaneo mugugno.

Concludendo: la speranza è sempre l’ultima a morire, ma temo proprio che la politica (o meglio i partiti) non si metteranno d’accordo per elaborare un piano energetico nazionale che tenga in conto le esigenze, le possibilità e le realtà attuali e venga modificato in futuro solo in funzione di nuove evidenze tecnico-economiche e non sulla spinta momentanea di lobby o di mode effimere. A tal proposito non posso non citare l’enorme convenienza di investire nella ricerca e sviluppo, con l’ottimo risultato di poter trattenere in Italia una quota rilevante dei validissimi giovani che questa ricerca e sviluppo vanno a fare all’estero a beneficio di paesi stranieri.

Pietro Immordino

Nota a pié di pagina: non ho parlato delle difficoltà di fare accettare agli Italiani sacrifici locali, necessari per la realizzazione di qualsiasi grande opera. Per questo vi rimando al pregevole saggio dell’amico Alberto Cavallo su Eurinome dal titolo “Nymbia”, già citato in altro mio scritto.



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