Moncalieri, 1 maggio 2015

La questione morale e la grande finanza

Diversi fatti di cui ho avuto sentore in questi giorni mi hanno richiamato in mente un certo Enrico Berlinguer, nome che, purtroppo, molti giovani certo ignorano, segretario del P.C.I dal 1972 alla sua morte, avvenuta nel 1984. In una intervista del 1981 dichiarava: «La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico.» Con questa linea politica Berlinguer aveva condotto il P.C.I. al migliore risultato elettorale mai raggiunto. Dopo di lui il problema della questione morale non ha più trovato uno spazio altrettanto grande, neppure fra i suoi successori del P.C.I.-P.D.S.-P.D., nonostante la moralità pubblica, e privata, non siano certo migliorate. La percezione del peggioramento morale della classe dirigente italiana, e non solo di quella politica, è certo la causa principale della disaffezione della popolazione verso la politica, vista solo come un mezzo per lucrare indebitamente denaro e favori di ogni genere.

Qui voglio ora ricordare una definizione di morale: “la morale è il complesso delle norme accettate da una società che sono alla base del comportamento”; seguendo questa definizione, mi chiedo se può essere giusto parlare di questione morale, con riferimento ai fatti corruttivi largamente presenti nel nostro paese, se una grande parte della nostra popolazione ormai non ritiene più, o non ha mai ritenuto, che essere corrotti e mancare ai propri doveri sia un atto illecito; naturalmente quando si tratta della corruzione e della mancanza ai loro doveri degli altri la percezione spesso cambia. Questo coincide in larga parte con quella che ho sentito definire come la caratteristica saliente degli Italiani: farsi i fatti propri. Forse sarebbe meglio parlare di etica e non di morale, poiché l'etica comprende una base razionale, volta a consentire all'individuo di gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto degli altri.

Ora vengo alla motivazione del titolo di questo articolo, titolo che può sollevare qualche perplessità, per l'accoppiata morale-finanza.

La finanza non è in se stessa un male o un difetto del sistema, a meno che non si voglia mettere in dubbio tutto il sistema sul quale è basato lo stile di vita di praticamente tutto il mondo odierno; il problema nasce dagli scopi e dagli interventi della finanza stessa. Per esempio, raccogliere azioni per accorpare un capitale che serva a creare un'azienda è non solo etico, ma anche utilissimo per il funzionamento della nostra società. Da qui in poi le cose si complicano: quando si parla di “giocare in borsa”, sento un vago malessere; la finanza dovrebbe essere il mezzo per consentire all'economia di un paese di avere i mezzi per funzionare e tutto questo viene fatto usando la stessa parola che si usa per il poker? Si tratta più che altro di un rischio senza nessuna base razionale? Peggio ancora mi sento quando sento parlare di “derivati” e altre simili attività finanziarie, di cui i sottoscrittori praticamente non comprendono nulla: più sicuro sarebbe giocare a ruba mazzetto! Ma ormai il “gioco in borsa” e l'utilizzo di svariate attività finanziarie è comune ad un numero enorme di persone, non solo grandi investitori, che su questi investimenti contano anche per garantirsi un minimo vitale: si pensi ai fondi pensione degli Stati Uniti o alle pensioni integrative italiane. Evidentemente occorrono delle regole che consentano ai piccoli investitori di avere tutte le informazioni necessarie per giudicare correttamente i loro investimenti e che impediscano di operare in loro danno ai grandi investitori ed agli intermediari (banche in testa). Ma....

La finanza ha da sempre influenzato non solo la vita economica, ma anche quella sociale dei paesi occidentali: basti pensare alla crisi di Wall Street del 1929 che ridusse alla fame un largo numero di Americani e le cui ripercussioni arrivarono pesantemente anche in Europa. A proposito di quella crisi voglio rimarcare, cosa ben nota, che molte delle condizioni che la precedettero sono presenti oggi nell'economia: mi riferisco specialmente al fatto che ora, come allora, la ricchezza viene creata più dalla finanza che dall'economia reale ed al fatto che il lavoro viene marginalizzato come produttore di ricchezza. La ben nota circostanza che i prodotti finanziari hanno un valore pari a dieci volte il valore dei beni reali presenti nell'intero mondo preoccupa, giustamente a mio parere, molti economisti; in un qualsiasi momento questi prodotti potrebbero trasformarsi in carta straccia e, purtroppo, coinvolgere l'economia reale dell'intero mondo.

La crisi di Wall Street durò a lungo e si risolvette con l'intervento politico (il New Deal di Roosevelt ne è l'esempio più citato). Oggi ho l'impressione che le cose stiano in maniera decisamente meno favorevole all'intervento dei governi: lo strapotere della grande finanza di fatto non ha quasi più nessun controllo politico. Questo è in larga parte dovuto alla completa internazionalizzazione della finanza stessa, che ha reso estremamente difficile, se non impossibile, l'intervento dei singoli governi sui grandi flussi finanziari. I governi dei vari paesi non sono certo in grado di fare fronte comune per imporre decisioni politiche condivise alla grande finanza; il risultato è che, singolarmente, non sono in grado di governare i grandi flussi di denaro o di strumenti finanziari. Quando si parla di mercato e si dichiara l'impossibilità dei singoli paesi di controllarlo in realtà si afferma la supremazia della finanza sulla politica. Naturalmente il panorama è cambiato anche per la presenza sul mercato di grandi investitori prima assenti, che hanno messo in dubbio la supremazia degli S.U. in campo finanziario: Cina, India, paesi produttori di petrolio, ecc. sono oggi in grado di generare flussi finanziari dello stesso ordine di grandezza di quelli degli S.U.

Si, ma cosa c'entra tutto questo con la morale? La sensazione che non il lavoro ma l'investimento finanziario, non il governo ma il mercato governino la nostra vita cambia certo i valori di riferimento, e quindi la morale, di una società. Se il giocatore di poker è più apprezzato di colui che lavora duramente certo non si può più pensare che i valori morali della nostra società siano rimasti immutati: a questo proposito mi sovviene il ricordi di film americani che mitizzano giocatori di poker o di bigliardo, indipendentemente che dal fatto che rispettino le regole del gioco o meno. A questo punto è meglio rifugiarsi nell'etica, e non nella morale e soprattutto nella base razionale dell'etica: se quello che un individuo fa è dannoso per un altro individuo, quell'azione è priva di etica; ma, soprattutto, se un'azione è foriera di grandi pericoli per tanti individui, quell'azione è totalmente priva di etica. La grande finanza oggi non solo è fonte di immediati danni per molti individui, ma è anche foriera di molti più grandi pericoli per un numero enorme di persone nel prossimo futuro.

Ma chi è in grado di “por mano ad essa”?


Pietro Immordino


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