Moncalieri, 03 giugno 2015


Astensionismo e democrazia

Dopo le ultime elezioni regionali sono sorte molte preoccupazioni per la l'astensione dal voto, risultata più elevata rispetto al passato. Credo che la circostanza si presti ad una riflessione più vasta rispetto alla semplice considerazione che l'astensionismo è frutto di un più ampio disinteresse verso la politica, dovuto a fatti interni alla politica italiana.

Innanzitutto qualcuno ha fatto notare che la percentuali di elettori che si reca alle urne in Italia è la più elevata fra tutti i paesi avanzati, nonostante la diminuzione che si ha avuta in queste ultime elezioni. Questo significa che l'astensionismo è un fatto intrinseco alle forme che la democrazia ha assunto ai giorni nostri e non è circoscritto a problemi interni italiani. Forse, a questo punto, invece di tentare di esportare i nostri sistemi democratici ad altri paesi, sarebbe meglio interrogarsi su come cambiare i metodi attraverso i quali si esprime il nostro sistema, per introdurre procedure basate sulla realtà dei fatti e non sui sogni. Non è facile, e me ne rendo conto, ma proverò a fare alcune osservazioni sulla scorta di quanto di recente è successo in Italia.

L'astensionismo nelle votazioni per l'elezione dei sindaci è stato molto minore di quello per le elezioni regionali. La gente percepisce il governo dei comuni come una istituzione più vicina e più facilmente controllabile attraverso il voto rispetto al governo delle regioni. A questo proposito mi vengono in mente due modifiche costituzionali proposte dal governo Renzi: l'abolizione delle province e il cambiamento del Senato.

L'istituzione politica che certamente ha dato il peggio di sé in Italia è stata la Regione: non solo non viene toccata, se non marginalmente, dalle nuove norme, ma alcuni dei suoi rappresentanti vengono in qualche modo promossi, elevandoli a rappresentanti del senato della Repubblica. Ora mi chiedo, se l'istituzione più vicina al cittadino è il comune, perché non fare del senato la voce dei comuni, portandovi i sindaci e non i consiglieri comunali. Non voglio entrare nella definizione del meccanismo delle elezioni, dico solo che, dividendo l'Italia in collegi, i sindaci appartenenti a quel collegio potrebbero eleggere uno di loro a senatore.

Ancora, non sono stato d'accordo sull'abolizione delle province, enti più vicini al cittadino delle regioni; molto meglio sarebbe stato abolire le regioni e mantenere le province. Non so quali interessi abbiano i comune un cittadino di Novara ad uno di Cuneo, uno di Palermo ad uno di Siracusa, mentre i cittadini di una stessa provincia hanno più spesso interessi coincidenti e comunque tutte gli organismi al servizio dei cittadini sono organizzati su base provinciale (prefetture, questure, camere di commercio, uffici tecnici, ecc.).

A questo punto ritorno a parlare dell'astensionismo e del perché esso risulti inevitabile nei paesi avanzati al giorno d'oggi. A sentire molti politici, le elezioni dirette sarebbero la panacea di tutti i mali; credo che non ci sia niente di più sbagliato e di più pericoloso per la democrazia. Quando ci si riferisce a tal proposito agli Stati Uniti, si dimentica che all'origine dell'elezione di un presidente c'è una selezione interna ai partiti, attraverso rappresentanti degli stessi che designano il candidato presidente; ma, nonostante questo, il presidente degli Stati uniti viene eletto con meno di un quarto dei voti degli aventi diritto... Forse sarebbe meglio, prima di parlare di elezioni dirette e di repubbliche presidenziali, ricordarsi che la cultura politica italiana discende da Roma, e da Atene prima.

La rappresentanza è fondamentale per un corretto funzionamento delle democrazie e le elezioni devono sempre avere una base collegiale numericamente ridotta, per potere consentire una partecipazione attiva dei cittadini. Oggi spesso la scelta di un candidato, invece che di un altro, è effettuata dai cittadini sulla base di un dibattito televisivo, in cui vince chi ha la battuta più pronta e l'aria più accattivante; di uno spot pubblicitario valido, di una promessa irrealizzabile. Cosa sa in effetti il cittadino che va a votare di colui che sceglie? Spesso assolutamente niente altro che quello che gli hanno trasmesso i media.

La democrazia italiana ha goduto per lungo tempo di una grande partecipazione popolare, che si manifestava non solo attraverso l'espressione del voto. Chi ha molti anni, come me, ricorda l'affollamento ai comizi di ogni parte politica, tenuti nelle piazze d'Italia; affollamenti in gran parte spontanei, e non artificiosamente provocati come è successo nel passato recente. Solo Grillo è riuscito a riempire le piazze, ma ho sempre avuto il sospetto che il pubblico presente fosse attirato dall'uomo di spettacolo e non dal politico. Nel lontano passato della partecipazione di massa alla politica erano i partiti ad essere i motori di quella partecipazione: avevano una chiara identità, una capillare distribuzione sul territorio, una classe dirigente valida. Nel tempo la relazione dei partiti con la gente è stata sempre più ottenuta attraverso i media e non attraverso il contatto diretto fra l'attivista e il probabile elettore. Questo ha verticalizzato i partiti, in cui l'attivista di base, quando non è scomparso, è diventato una pedina secondaria rispetto ai media. Contemporaneamente i quadri dei partiti si sono sempre più chiusi su se stessi, diventando di fatto consorterie autoreferenziali, staccate dalla società esterna, con interessi ed attività proprie. Mi è capitato più volte in passato, parlando con attivisti di partito, di ascoltare delle affermazioni totalmente avulse dalla realtà sociale che io potevo vedere: la mia impressione è stata che le discussioni sulla realtà esterna e le relative decisioni di azione fossero tratte non dalla partecipazione alla vita di ogni giorno della gente comune, ma da discussioni svolte esclusivamente all'interno della cerchia degli “addetti ai lavori”.

La mia analisi precedente spiega bene il successo della Lega, prima, e dei 5 Stelle, poi. Sono andati in mezzo alla gente e ne hanno ascoltato i desideri, i dubbi, le paure.

Purtroppo non credo che i movimenti politici, nati dal sostanziale fallimento dei partiti tradizionali, possano risolvere la situazione italiana: troppo facile conquistare voti parlando alla pancia della gente per suscitare invidie, risentimenti, paure. Molto più difficile affrontare una situazione, non solo italiana, molto complicata in termini economici, sociali e politici. Per questo occorrono programmazioni nel lungo termine, analisi realistiche e, magari, perdite di consenso nel breve termine.

Traggo delle brevi conclusioni da quanto ho scritto prima; conclusioni, ancora una volta, politically incorrect; ma io non sono alla ricerca di voti facili e quindi mi posso permettere di scrivere liberamente.

Il momento attuale è caratterizzato da un rifiuto quasi generale, appoggiato anche da esponenti politici di spicco, che riguarda i costi della politica: stiamo attenti a non buttare via il bambino insieme all'acqua sporca!

La democrazia, come spesso è stato detto, ha un costo; di questo costo deve farsi carico la comunità. Purtroppo i costi della politica, non della democrazia, sono aumentati a dismisura a causa di malversazioni continue e distrazioni dei fondi a scopo personale dei politici e la conseguenza che se ne è ricavata è che non bisogna più finanziare i partiti politici. La corretta soluzione è, invece, quella di punire severamente e con certezza tutti gli abusi e continuare a pagare il prezzo che la democrazia impone. A titolo di esempio, le sezioni di quartiere di un partito sono la necessaria cinghia di trasmissione fra la gente e i vertici politici, ma hanno un costo in termine di locali e di funzionamento degli stessi. Occorre, però, che queste sezioni riescano a coinvolgere i cittadini e che non diventino “covi di carbonari”. Solo attraverso un colloquio bilaterale fra cittadini e vertici politici si può evitare il dilagare del populismo. Un progetto complesso, come è quello della guida di un paese moderno, ha bisogno di strumenti e procedure complesse; questi strumenti e procedure vanno portati in maniera adeguata a conoscenza della gente comune, non attraverso l'esposizione mediatica, ma attraverso un colloquio diretto e continuativo, che consenta di recepire le obiezioni popolari e, conseguentemente, di adeguare le proposte.

Non sono d'accordo per niente sul fatto che i rappresentanti delle istituzioni siano pagati poco: non mi pare logico che il senatore o il deputato che svolge funzioni delicatissime percepiscano stipendi inferiori ad un possibile piccolo dirigente di azienda. Anche qui, però, la reazione popolare deriva da comportamenti scorretti della classe politica: un rappresentante delle istituzioni deve essere adeguatamente ricompensato, ma in maniera limpida, controllabile e, soprattutto, deve adempiere alle sue funzioni in maniera corretta e competente. Ma per questo occorrono partiti strutturati, che sappiano selezionare la loro classe dirigente; tali partiti costano …

A questo punto, non so bene perché, mi viene in mente una frase latina: sed quis custodiet ipsos custodes? In ultima analisi chi è responsabile della situazione attuale? Tutti noi cittadini siamo a posto con le nostre coscienze? Chi può controllare la classe politica se non noi attraverso il nostro voto?


Pietro Immordino


Torna a “ La pagina iniziale

Torna a “ L'angolo di nonno Pietro

Torna a “ L'angolo di zio Pietro